OLYMPUS DIGITAL CAMERA

L’autunno è la tua stagione, non appassisci come i fiori. Tu rinasci, tu vivi di più. Tu colori le giornate più grigie, proprio tu che vesti di grigio ma solo perché hai l’anima a colori e odi il bianco e nero. Tu riposi sopra le mie idee, ci giochi, le esalti, le cambi, alcune le butti. Tu mi tieni in alto mare col sorriso che diventa inchiostro per la mia penna. E non contenta, ripulisci sempre il foglio nel quale ti ho descritta. Forse un po’ ti piace come ti racconto, il modo in cui so leggere tra le righe del tuo volto. Pazienza se quanto viene fuori sa di primavera, non farmene una colpa, sei tu la mia stagione preferita.
“La rotazione immaginaria del (mio) mondo”

 

Adesso non importa se la vita mi ha voltato le spalle. Tu verrai a prendermi quando io non ci speravo e facevo il duro sotto casa senza entrare per paura di affrontare affrontarmi. Ti sei accorta che non c’ero in una notte senza nuvole mentre dalla finestra davi un nome a quella stella. Ma mancava qualcosa e quella stella non brillava. Mi hai raccolto e trascinato via dal buio. Siamo finiti dentro a un bar davanti a un caffè freddo a dirci quanto schifo facesse quella vita vissuta a metà. Dicevi che dentro casa tua regnava l’ordine e per questo ti incazzavi. Da me solo birra, minestra riscaldata e la tua fottuta foto nell’ingresso. Poi dal bar al tuo divano, il caffè che diventa vodka e funge da stupida scusa per non cacciarmi fuori a calci. La notte che trascorre mentre tu sei ubriaca e dormi sul parquet. La stella senza nome che brillava e ti illuminava la pancia scoperta. E forse, dopo tutto, una cosa quella sera l’ho capita: questa vita travestita da puttana ha smesso l’armatura e mi ha sorriso guardandomi negli occhi.

 

Quelle brutte sere d’inverno, fredde di quel freddo che mi entra nella pelle e mi paralizza. Stanco da morire, la solita giornata di merda che quando arrivo sotto casa con le chiavi in mano lo stronzo con il suv centra in pieno la pozza e io fradicio da far schifo. Non ci faccio neanche più caso, la solita giornata. Se non fosse che quando riesco a chiudere quel maledetto ombrello e mi asciugo bene le scarpe entro in casa e ci sei tu che mi aspetti. Non mi serve neanche troppo tempo per capire che poi smetterà di piovere e dopo lavoro mi aspetterai sotto casa per andare a prendere il gelato. Poi quei colleghi la smetteranno di rompere le palle, e Andrea, spero, lo licenzieranno pure. E lo stronzo con il suv con la bella stagione non mi fotte più. E tireró fuori lo scooter e ci faremo un po’ di giri dove capita. Tu sei tipa da città, io più da mare, e siccome guido io sai già che finiremo al mare, sdraiati sulla sabbia. E fisseró la nuvola che cade dentro il mare con l’iPod nelle orecchie e la mia canzone preferita, che cambio le parole e ci metto dentro te.

 

 

Spazio letterario