MAX MANFREDI “Dremong”

Max Manfredi è un geniale cantautore che arriva con “Dremong” alla sua sesta fatica discografica (ma nel suo curriculum ci sono anche importanti collaborazioni con artisti di grande fama, nonchè un’attività parallela come scrittore).

“Dremong”- che esce in questi giorni grazie al “crowfunding”- è un album che vive di varie influenze,riconducibile parzialmente ad un mood “progressive”: di sicuro un lavoro rock,ma alla personale maniera di Max.

Il disco si apre con una breve,inquietante intro che sfocia subito dopo nella title-track:la metafora del “Dremong”-orso aggressivo del Tibet – viene usata per raccontarsi in maniera introspettiva; il sound è per l’appunto progressivo,e non sfigura accanto a quello delle band italiane storiche dei ’70 (viene in mente il Banco).

“Disgelo” è il primo singolo, un racconto di un venditore e del suo fallimento esistenziale:la musica è classicheggiante ed è un brano molto ombroso ed originale, dagli inediti colori.

“Diadema” sembra una ballata antica con il suo incedere maestoso:su uno scenario quasi apocalittico,si parla di un luogo immaginario,dove si ritrovano rifugiati di ogni tipo e provenienza; è una canzone carica di positività e speranza e,quindi, di colorata poesia.

“Notte” è un brano – per l’appunto-notturno,una riflessione in una notte d’insonnia (“Notte,ora basta parlare/fammi dormire”), con sottili rimandi psichedelici (l’orientaleggiante chitarra in reverse nel finale); ”Finisterre” è una folk ballad dal mood “popolare” ed un omaggio alla radio ad onde medie,il tutto mescolato col sapore di un viaggio verso terre inesplorate.

La capacità di raccontare storie inconsuete con eleganza non si esaurisce nemmeno su “Rabat girl”, che sembra uscire come sound da un noir di fine anni ’50 (se non fosse per un ritornello decisamente moderno, in cui una tenue elettronica tesse le trame di una melodia quasi orientale);una storia di omicidi, prostituzione, droga per un “giallo cantato”.

Tipicamente cantautorale “Pioggia”, un brano che sembra la fotografia di quest’estate, che almeno da noi-ma non solo-non è che ci sia granchè stata (“ma viene la pioggia di giugno/sui palchi montati a fatica/e piove sul telone del service/e su strumenti di musica antica”): ogni mese,una pioggia diversa ed un diverso perché.

Il sapore di atmosfere antiche e di altri tempi si ritrova su “Inutile”, ma questo non significa che sia un brano fuori dal tempo, anzi,tutt’altro:difatti è la riflessione di un emigrato ambientata all’incirca negli anni ’20 (“qui amici non ne ho/mi sa stasera m’imborracho un po’/se le gambe mi reggono,sorriderò e sbarcherò al tuo tavolo”) che risulta però di grande attualità;c’è anche un omaggio sentito e davvero sincero alla rebetika (il genere popolare che sta alla musica tradizionale greca come il blues al rock) con la poetica “Sangue di drago”.

Non manca un po’ di lieve ironia ne “Il negro”,in cui il protagonista si fa scrivere una canzone d’amore da un “ghost writer” (il negro del titolo,insomma);”Sestiere del molo” parla di Genova con rabbia e fare meditativo al tempo stesso (“non c’è tempo per chi aspetta tempo(..) per i topi del banchetto/e i guardiani della dieta”),ed è un brano in cui tornano venature rock (l’attitudine ricorda il Fossati di “Ventilazione”).

Superbamente riflessiva “Anni ’70”,con un bel pianoforte elettrico di contorno,e la consueta poesia “urbana” di Max in evidenza;e nel finale c’è perfino spazio per un inedito inno alla resistenza chiamato “Castagne matte”.

Un grande album per un cantautore superlativo e da seguire con attenzione.

Copertina Dremong

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