A cura di Alessia Rositani
Mancava dal cartellone scaligero ormai dal 2001 e di certo non per la sua fama di opera “maledetta”. Tante difficoltà si celano dietro l’allestimento de La forza del destino. L’imponenza di questo melodramma verdiano richiede la necessaria presenza di un cast di livello, date le arditezze vocali dei personaggi e la centralità del coro e certamente un importante assetto organizzativo ed economico da grand-opèra.
Dopo l’esordio del dramma verdiano a San Pietroburgo nel 1862, l’opera andò nuovamente in scena proprio alla Scala nel 1869 con le dovute modifiche volute dal compositore su partitura e trama. Lo stesso Verdi sosteneva che il teatro milanese potesse essere al tempo, l’unico in grado di soddisfare le sue esigenze per creare sul palco una messa in scena di spessore e che fosse una delle poche realtà italiane a essere in linea con lo sforzo delle produzioni francesi.
Che dire, dal passato ai giorni nostri, la nomea del Teatro alla Scala è da sempre sinonimo di spettacolo di alto livello e anche in quest’occasione per l’apertura della nuova stagione 2024/2025, quello a cui abbiamo assistito il 7 dicembre, è stato un successo trionfale, un duro e complesso lavoro che come ogni anno si è compiuto con il fine ultimo di esaltare l’universalità del dramma in musica.
Ne La forza del destino, Verdi continua il suo percorso in musica per raccontarci il genere umano, i suoi vizi, i suoi sogni infranti da un destino segnato dalle amarezze della guerra e dall’egoismo dell’essere. Nessuno più del maestro Verdi ha saputo cantare, descrivere e credere nel genere umano, difatti nella nuova versione riproposta per la scena milanese, Verdi decise di cambiare completamente il finale dell’opera, volle cercare uno spiraglio di speranza per le sofferenze dell’animo umano, vedendo nel pentimento e nella spiritualità l’unica via di redenzione possibile.
La regia firmata da Leo Muscato per questa prima, ha posto meno in evidenza l’aspetto spirituale del dramma, portando maggiormente in risalto uno scenario apocalittico. Filo conduttore dello spettacolo, la guerra che amaramente ha segnato e segna tutt’oggi la nostra storia. I quattro atti dell’opera, vengono scanditi dal regista lungo epoche differenti e distanti, partendo dal primo con sfondo le guerre di secessione settecentesche, passando nel secondo per il Risorgimento; il terzo atto è ambientato nel più vicino conflitto mondiale e l’ultimo nei nostri tempi invasi ormai da conflitti internazionali. Le scenografie e i costumi sono stati curati da un gruppo tutto al femminile , Federica Parolini e Silvia Aymonino. L’assetto scenico proposto, vede al centro del palco una grande struttura, una ruota del destino che gira inesorabilmente, la quale offre allo spettatore una circolarità importante tra questi salti temporali unendo tematiche e ambientazioni diverse; inoltre dal punto di vista prettamente pratico, questa disposizione girevole ha concesso di abbreviare i tempi di allestimento tra un atto e l’altro. Lo scenario è minimale, fondali scuri, spogli, assumono una desolazione totale nell’atto conclusivo, il tutto si chiude nella devastazione di un mondo segnato dalla guerra che sembra non poter sperare più in alcuna redenzione. In realtà il regista e la scenografa concedono uno spiraglio di speranza, difatti sul finale, prima che il sipario si chiuda, da un tronco secco e spoglio ecco rinascere delle gemme verdi. La vita nonostante le crudeltà dei conflitti va avanti, la forza della speranza e del riscatto del genere umano non devono e non possono avere il sopravvento sulle irragionevoli guerre volute dai potenti. Ricercato lo studio storico su costumi e accessori, dato il numero importante di presenze sul palco tra coristi, mimi e personaggi di certo un lavoro immenso e ben riuscito.
Alla bacchetta il Direttore Riccardo Chailly guida l’orchestra del Teatro alla Scala seguendo una versione rispettosa delle volontà primigenie del compositore, in un’opera che mescola generi, che regala sprazzi di leggerezza mischiati all’intensità di momenti drammatici. Il direttore conduce la sua orchestra regalandoci attimi di forza e delicatezza, momenti di ilarità e lirismo, ricercando le timbriche verdiane, in particolare nell’intenso sottovoce del finale.
Fortemente voluta da Dominique Meyer, giunto al suo ultimo mandato da Sovraintendente, nel ruolo di Leonora la star Anna Netrebko, che nonostante le contestazioni da parte di pubblico e manifestanti fuori dal teatro per le sue presunte ideologie politiche filo-putiniane, ci offre una performance sempre di livello, regalandoci una vocalità piena e dinamica in particolare nel registro acuto. Plausi per la versione di Don Carlo di Vargas del baritono Ludovic Tèzier, una parte complessa la sua, che convince non solo per il canto eccelso e preciso, ma anche per la sua attorialità credibile e d’impatto. Brian Jagde chiamato a sostituire il celebre tenore Kaufmann, porta a casa una buona esecuzione, nonostante le arditezze tecniche che il personaggio di Alvaro porta con sé, tuttavia le sfumature vocali sono ancora da maturare, così come il fraseggio. Una grande sorpresa Vasilia Berzhanskaya e Alexander Vinogradov ( Preziosilla e un Padre Guardiano) che ci concedono una performance convincente sia a livello interpretativo che vocale, specialmente per l’agilità e l’eleganza di Preziosilla.
Il coro diretto dal Maestro Alberto Malazzi, è certamente la centralità di questo spettacolo, nel complesso più splendente di tutte le grandi stelle del canto chiamate su quel palcoscenico; con precisione, sentimento e robustezza vocale, i cantanti hanno reso giustizia all’importanza che la parte corale ha e deve avere nelle opere verdiane.
Nel complesso lo spettacolo proposto per questo nuovo inizio stagione ha riscosso un successo notevole e i dodici minuti di applausi finali ne sono stati la conferma. Grazie a questa nuova produzione scaligera e alla trasmissione in diretta dell’evento sulla Rai, l’opera di Verdi è potuta arrivare nelle case di tutti perché non bisogna dimenticarsi che a tutti appartiene, dimostrandosi ancora una volta uno spunto di riflessione importante per ognuno di noi in un periodo così difficile a livello mondiale.