Ieri, 14 febbraio, “Il Volo” vincono a Sanremo 2015 con la canzone “Grande amore“.
Più che “Il volo” avrebbero dovuto chiamare questo progetto “la caduta” perché siamo ai massimi livelli d’imbarazzo per la nostra Italia già martoriata dalle vicende economiche, politiche e sociali.
“Il Volo” è un gruppo musicale italiano formato da un baritono e due tenori, i componenti: Gianluca Ginoble (Atri, 11 febbraio 1995), Ignazio Boschetto (Bologna, 4 ottobre 1994), Piero Barone (Agrigento, 24 giugno 1993).
Analizziamo un po’ il brano e poi facciamo qualche considerazione generale.
Si parte da un intro di pianoforte molto classico, i cantanti si alternano nella loro esecuzione.
Pian piano intervengono archi e percussioni che vanno sempre in crescendo, ben riuscito a livello “emozionale-calcolato”, ma dall’effetto estremamente pacchiano, a tratti caricaturale.
Le sezioni dei violini ricordano altri brani degli anni Sessanta-Settanta in maniera spudorata, tale da copia e incolla (vedi “lI volto della vita” cantata da Caterina Caselli), armonie e sequenze melodiche composte e ricomposte, sentite e risentite.
Siamo in pratica diventati la parodia di noi stessi, in tutto e per tutto.
L’effetto ha del kitch dilagante e ricorda moltissimo il recente trio formato da Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici, con il brano “Italia amore mio” di cinque anni fa esatti, infatti era il 2010.
Attenzione, qui non si fa un paragone “tecnico” tra i due trii…è ovvio che non reggerebbe il confronto, in quanto i tre giovanissimi dimostrano ottima capacità vocale / talento per la loro età a livello d’intonazione ed interpretazione.
Qui stiamo parlando di progetto artistico a livello d’innovazione, ricerca musicale, spessore del testo, profondità di contenuti.
I tre ragazzi di cui stiamo parlando non c’entrano niente con tutto questo, qui si fa riferimento agli ideatori.
E’ come se la scuola dei BeatlesDe Andrè, i Pink Floyd (per fare dei nomi a caso) fosse stata cancellata simbolicamente da questa vittoria con un colpo di spugna, un salto anni luce nel passato. Il regresso.
Perché si può parlare d’amore senza essere banali, si può onorare la propria tradizione musicale senza essere melensi, si possono creare arrangiamenti innovativi senza essere paurosamente conformisti.
Dal 2010 cos’è cambiato? Niente.

 

Ma alla fine cos’è cambiato a Sanremo dal 1951, dal 1980…dal 1990?
Niente…anzi, una volta si osava di più, eccome! Adesso sempre meno…bei tempi quando gruppi come i Subsonica, Bluvertigo, Quintorigo, Avion Travel, Elio e Le Storie Tese calcavano il palcoscenico dell’Ariston…e vincevano pure qualche volta!
Incredibile…nel passato eravamo nel futuro.
Che poi, questi tizi la potevano pure fare una semplice ricerca su Wikipedia: esiste già una band “progressive rock” del 1974 omonima formata da Alberto Radius, Mario Lavezzi, Vince Tempera, Gabriele Lorenzi, Bob Callero, Gianni D’Allaglio.
La band degli anni Settanta sopra nominata aveva uno spessore musicale che i novellini si sognano, naturalmente.
Questo Festival? Sembra una versione restaurata di un’edizione del 1952…giovani che cantano canzoni vecchie.
Il Volo è l’ennesimo esempio di come il Festival sia l’apoteosi della banalità, del vecchio e dell’anti-innovazione a livello musicale in Italia.
Non è possibile nel 2015 sentire nei testi frasi come “nei giorni miei”, amore e amore come se piovesse, “penso solo a te”, “vivo solo in te”, “credo solo in te”, “dimmi che non mi lascerai mai”.
Questo progetto non è altro che la promozione  all’estero degli stereotipi italiani del dopoguerra: grandi sentimenti, spaghetti e “mandulino”, aggiungiamoci l’immaginario degli apprezzatissimi tenori leggeri alla Bocelli, Pavarotti, ecc
In ogni caso, tutto questo non c’entra assolutamente nulla di nulla con la lirica vera e propria.
Scopiazzature qua e là, da “Un amore così grande” a Tiziano Ferro: “Solo che pensavo a quanto è inutile farneticare” (Non me lo so spiegare)…non vi sembra ci sia una certa similitudine ritmica in interi passaggi?
Alla fine, diciamo che, al di là delle considerazioni artistiche, il tutto funziona egregiamente.
Sti ragazzi e i loro ingegnosissimi produttori discografici (vedi Michele Torpedine , Tony Renis), grandi menti del marketing, si faranno pacchi di soldi perché, come accennato prima, tecnicamente son ragazzi bravissimi per la loro età, niente da dire: intonazione perfetta, voce ben impostata, naturalezza sul palco. Buon per loro il successo, ci mancherebbe.
Non ho nulla contro di loro, ma contro la mentalità delle major, delle multinazionali della musica, della superficialità disarmante di certo pubblico che sembra dimostrare una memoria musicale pari a zero.  La musica, i festival, non dovrebbero essere come “il saggio della scuola” dove vince chi canta o suona meglio, chi corre più veloce, chi fa più virtuosismi, chi ce l’ha più lungo. La musica non è uno sport, mettiamocelo bene in testa, ma Arte.
Così come in Italia funzionano le cosiddette “americanate”, all’estero funzionano le imbarazzanti “italianate” e quindi tutti felici e contenti.
Tutti, tranne noi, quelli che vorremmo di più dalla musica italiana…quelli che all’innovazione, alla 
ricerca, alla verità ci tengono e ci credono.
E non alle furbate e ai “prodotti a tavolino”.

 

Riporto il commento di un’utente che ritengo calzante: “A partire dal brano fino alla melodia, era la sagra del trito -ritrito e pacchiano.
Dei giovani già vecchi. Di Bocelli e Bublé ne abbiamo già, anche no, grazie.
Inoltre, lo stereotipo italiano, dell ‘Italietta tutta casa e chiesa, della famigliola pre-confezionata, perfetta, della donna che deve sfornare figli sennò non è donna: mi hanno detto che hanno invitato una famiglia con sedici figli, si commenta da sé.
Poi la vittoria di questi pupattoli che derivano da un pacchetto bello confezionato di ex-bambini lanciati nel successo, senza tener conto della loro infanzia, proprio per soddisfare le ambizioni dei genitori. Tutto torna, tutto rientra nello schema della famiglia tradizionale, guai a scalfirla, tutto il resto è deprecabile, sporco, da non accettare. Sono piena di questa ipocrisia, delle famigliole alla Barilla, delle donne che se non fanno figli non vanno bene, (per chi? Perché?), fino ad arrivare al trionfo già annunciato di canzonette anni ’50, alla Claudio Villa, con testi esecrabili, retrivi ( l’ho ascoltata una volta, in pratica se la donna non lo ama lui si butta da una finestra, e tra l’altro lei non può amare nessun altro, siamo nel 2015 ed è un ragazzo di venti anni che canta, oddio…..) , quindi per me è stato il tripudio dell’ovvio.”

Un utente ci segnala una certa somiglianza al ritornello di questo brano, anche se appartenente a tutt’altro genere…ASCOLTA

 

In conclusione, nulla vieta di coniugare la nostra amata ed apprezzabile tradizione del nostro Paese all’innovazione, ma non è questo il caso.

 

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