Il Don Carlo alla Scala di Milano: una regia che ha fatto discutere.
Come ogni anno, il sette dicembre a Milano, la festa di Sant’Ambrogio è segnata dall’apertura del sipario per la prima del Teatro alla Scala, evento culturale e mondano, su cui gli occhi del mondo sono puntati e pronti come sempre, a scagliare commenti e resoconti, tra gli addetti ai lavori e non, personaggi di spessore musicale e semplici “turisti” d’opera di circostanza, che non vogliono mancare il momento.
In scena, la complessità del Don Carlo di Giuseppe Verdi, nella sua versione in quattro atti, successiva alle tormentate rivisitazioni del compositore di Busseto, che aveva visto nel 1884, la sua prima proprio alla Scala.
Il maestro Riccardo Chailly dirige la perfetta orchestra del teatro con vigore e passione, con una forte attenzione ai momenti di lirismo quasi a voler sottolineare in questo Don Carlo, il dramma privato che è insito in esso, la sofferenza che portano con sé tutti i protagonisti schiacciati dal potere. Rotondità di suono e controllo per il maestoso Coro, abilmente guidato dal Maestro Alberto Malazzi. Gli artisti principali voluti dal Sovraintendente Dominique Meyer e dallo stesso Direttore Artistico Riccardo Chailly hanno dato vita ad un cast imponente, così come l’opera stessa richiede. Di certo non hanno mancato le aspettative, nonostante le problematiche di salute del baritono Michele Pertusi nel ruolo di Filippo II, che hanno di certo influito sulla sua potenza d’emissione vocale, così come poco convincente è parsa la performance del Frate/Grande Inquisitore, interpretati entrambi da Jongmin Park.
Le due regine del canto Anna Netrebko nell’introspettivo ruolo di Elisabetta di Valois ed Elina Garanča, nell’altrettanto duttile parte della Principessa d’Eboli, così come il resto dei protagonisti maschili: Francesco Meli, nell’arduo compito di interpretare l’infante di Spagna e Luca Salsi nelle vesti del Marchese di Posa, hanno contribuito a rendere una prima, musicalmente ineccepibile a livello tecnico, ma soprattutto a livello attoriale, in quanto tutti i protagonisti attraverso il presente dramma verdiano, hanno dovuto scontrarsi con personaggi psicologicamente impegnativi (l’interpretazione della Netrebko forse la meno a fuoco, fraseggio perfetto come sempre, più convincente in altre vesti).
Ma veniamo alla parte spettacolare di questa prima, probabilmente la più discussa. Trascorsa ormai una settimana dall’evento inaugurale, ciò su cui si è dibattuto maggiormente e che ha diviso pubblico e critica, è stata la regia di questo Don Carlo, diretta dallo spagnolo Lluis Pasqual, scene curate da Daniel Blanco.
Predominanti sul palco contrasti chiaro scuro, il nero profondo lotta con lo scintillio dell’oro, colori della regalità per eccellenza. Massima espressione di eleganza la riscontriamo nella cura dei dettagli dei costumi in pieno stile, ideati da Franca Squarciapino. Scenicamente tutto si muove intorno ad un’ampia colonna in alabastro, ideata da Daniel Blanco, che aprendosi e chiudendosi in un complesso sistema di cancellate, è di per sé, l’unico elemento dinamico sulla scena. Alcune trovate hanno lasciato un po’ di perplessità, come ad esempio la scelta di concludere l’Autodafé con un fuocherello piuttosto esiguo e misero. Alquanto discutibile, inoltre, durante la Canzone del Velo, la scelta dell’insolito corteo danzante del quale onestamente si poteva fare a meno.
In generale grande tecnologia, ma idee registiche non del tutto ben riuscite, a volte sono sembrate mancare totalmente. A tratti è parso assente il polso del regista e pertanto, la recezione delle sue volontà interpretative è venuta meno da parte di una buona fetta di pubblico. L’intento primigenio che Lluis Pasqual voleva portare in scena, oltre al consueto aspetto politico-religioso dell’opera, erano la disillusione e la staticità dei personaggi di questo dramma nel riuscire a cambiare le proprie sorti. In effetti è proprio la staticità l’elemento registico che maggiormente è risaltato e che al contempo ha fatto più discutere. Poteva avere una sua coerenza di trasposizione registica sul palcoscenico, ma probabilmente non ha portato i risultati sperati ed è divenuta eccessiva su più di quattro ore di dramma.
Certo gli italici fischi sono stati piuttosto eccessivi, in particolare quelli davvero ingiustificati nei confronti del Maestro Chailly, ma il tutto esaurito degli spettacoli successivi alla prima, ci conferma ancora una volta, che tutti vogliono sedere su quel velluto rosso e osservare la magia che si svela sul palco di uno dei teatri più importanti del mondo, seppur a volte capiti che questo incanto sia più riuscito a volte meno.
Articolo a cura di Alessia Rositani