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BASTIAN “Among my giants “
La storia di Bastian è quasi una favola musicale a lieto fine, fatta di passione e di sogni che diventano realtà:Sebastiano Conti-questo il nome che si cela sotto il monicker-difatti,è riuscito nel suo intento,registrando questo “among my giants”,insieme-appunto-a dei suoi grandi idoli,ma c’è di più;la sua bravura tecnica alla chitarra,fa sì che egli non sfiguri accanto a questi nomi sacri.
E di ospiti succosi questo disco è pieno:basta pensare a Michael Vescera o Vinnie Appice,ma non solo….vi svelerò tutto il resto tra poco:andiamo quindi ad analizzare il lavoro traccia per traccia,un disco imperdibile per tutti gli amanti dell’hard & heavy di classe,quello che sa coniugare tecnica e gusto.
Il disco si apre con “Odyssey”,brano dal sapore fantasy,impreziosito dalla voce di Vescera-il vocalist che ha lavorato con Malmsteen e Loudness,tra gli altri-e dalla mitica,granitica batteria di Vinny Appice (al basso c’è Corrado Giardina,unica presenza fissa in tutti i brani insieme-naturalmente- allo stesso Sebastiano):la chitarra di Bastian vola in alto,miscelando alta caratura tecnica e feeling ed è subito chiaro l’amore dell’autore per l’heavy melodico.
“Mother earth” è una riflessione sul nostro pianeta malato,ed è affidata a trame più complesse e rifinite,molto vicine al progressive metal (alla batteria siede qui Thomas Lang):non viene mai meno l’orecchiabilità-uno dei tanti punti di forza del disco-così come la potenza della chitarra di Bastian,forte e poderosa sia nella ritmica,che in spericolata veste solista.
Il testo di “Hamunaptra” indaga su antiche leggende egizie e stavolta c’è un cambio anche alla voce:è l’inconfondibile Mark Boals a prendere le redini vocali,mentre alla batteria siede John Macaluso;è un brano epico,che presenta una struttura per certi versi anche orientaleggiante,in cui Conti dà sfoggio della sua tecnica ancora una volta,tra heavy classico e prog,rivisitati con una propria,lucida personalità.
La medesima formazione impreziosisce “Tambourine song”,dai riflessi tipicamente hard rock (e dal flavour sabbathiano) rivisitati però in chiave moderna:le liriche affondano sui ricordi personali,con un filo di malinconia ma non troppo;su “Secret and desire” tornano Vescera e Lang per dare forma una tipica ballata hard godibilissima ed estremamente catchy (con un tocco di poetico romanticismo che non guasta)….Anche qui l’ispirazione viene dai migliori settanta,rivisti sotto la sensibilità e l’ottica personale di Bastian.
“Sexy Fire” è incentrata sul sesso,e non potrebbe essere altrimenti:uno dei piatti forti del rock & roll viene espresso in una maniera selvaggia e dinamica;anche il testo-cantato da Mark Boals-è esplicito,così come arroventato è l’assolo di Sebastiano,in linea con il contenuto “caliente” della canzone.
“Lights and the shadows”,subito dopo,vede ospite un altro musicista alla batteria (Giuseppe Leggio) ed è un brano ultracadenzato (e caratterizzato da un riff micidiale),che ricorda i Black sabbath dell’era “Dio”:ma la seconda parte rivela anche delle partiture acustiche,che si fondono subito al deciso hard rock che rimane come sempre l’ossatura del pezzo.
“Justify blues”è -fedele al titolo-un blues scorrevole e completamente strumentale (se non fosse per una breve parte parlata affidata ad un samples),con qualche momento imprevedibile a fine sezione;e,per la prima volta,la band si esibisce in trio ed i musicisti coinvolti sono tutti italiani (Conti-Leggio-Giardina).
“Magic Rhyme” è un’epica cavalcata heavy con rimandi fantasy,che mi riporta alla mente il primo Malmsteen come sonorità (il solismo,però,è personalissimo,seppur solcato da una ventata neoclassica),forse anche per via delle vocals di Boals;”The Beach” è un brano più rilassato e classico,con qualche riminiscenza pop vintage,tramutata in hard rock:forse è il mio brano preferito,proprio per la sua capacità di coniugare un feeling solare e melodico in un contesto hard (qui,però,siamo più vicini al rock classico).
“The fisherman” è una ballata riflessiva (con l’inconfondibile tocco vocale di Boals),dai risvolti acustici;”Song of the dream” è una canzone d’amore atipica,tra Rainbow,Uriah Heep e improvvise scalate aggressive,sempre in bilico tra heavy classico,riff doom e ultratecnica progressiva.
La musica di Conte è suonata e composta con il cuore in mano:questo è evidente in tutto il disco,ma è reso ancora più esplicito nelle tracce conclusive dell’album.
“Soul hunters”è un brano sull’amicizia e commuove per le sue parole:musicalmente,però,è una cavalcata potente ed aggressiva,con la chitarra di Bastian al centro dell’attenzione,immersa ora in tapping furiosi,ora in secchi botta-e-risposta con la sezione ritmica.
Ancora più struggente è la ballata finale,”An angel named Jason Becker”,una struggente e sentita dedicata allo sfortunato ma talentuoso chitarrista americano:è la degna conclusione di un disco molto bello e ricco di sfumature,che sa emozionare ed incantare ascolto dopo ascolto.
Sì,perchè è proprio questo il bello di questo disco:Bastian è un virtuoso come i suoi compagni di avventura,eppure non te la fa mai pesare,preferisce il feeling alla velocità fine a sé stessa….Ed anche la struttura delle composizioni risulta così vincente.
Bravo Bastian:è proprio vero che i sogni si avverano,se ci si crede fino in fondo e si persevera nell’attività….le risposte stanno tutte qui,nel tuo magico album….