A cura di Francesco Lenzi

 

MARCELLO CAPOZZI”Sciopero”(Seahorse recordings)”

Oggi vi segnaliamo  un nuovo e giovane cantautore napoletano molto interessante:sto parlando di Marcello Capozzi,che ha veramente tante cose da dire nelle sue bellissime canzoni.

Difatti la qualità della sua scrittura è indubbia;a questo si aggiunge una produzione,quella della Seahorse,che è una garanzia di qualità ormai da sempre!

Marcello è al suo esordio discografico”ufficiale”,anche se a voler essere precisi questa è la sua “seconda uscita”;difatti il nostro ha alle spalle già un EP autoprodotto.

Inoltre,oltre a cantare,comporre (naturalmente!)i suoi pezzi e suonare la chitarra(e vari altri strumenti),è anche collaboratore di”music raiser”(l’innovativa piattaforma che sta facendo molto parlare di sé in questi giorni tra i musicisti alternativi e non)e collaboratore di numerosi siti letterari.

Ma veniamo al sodo,ovvero al contenuto di questo”Sciopero”.

Fin dai primi secondi di”Il vetro e l’intero”ci si rende conto che Capozzi ha una verve intrigante e personale:la musica è struggente e lievemente ombrosa(ma non troppo),notturna,eppure rilassata,nei dintorni di un rock alternativo cantautorale molto interessante e originale.

E naturalmente le parole non sono da meno;il testo,difatti,è una considerazione personale,in cui le riflessioni si lasciano andare a metafore particolari e riuscite(“Guarda com’è triste il legno arso per figli di famiglie sterili/detrito reso infermo/non protesta nemmeno/restiamo noi/con un po’ di amore preso/in distorsione e noise”).

Davvero un bellissimo inizio:la voce di Marcello è personale,così come peculiare è il suo songwriting.

“1984”è un brano completamente differente:non si rinuncia ad un certo flavour darkeggiante(complici gli eccellenti intrecci chitarristici),anche se fa capolino un tappeto”elettronico”in sottofondo….il cantato inizia dopo un po’,dopo una intro strumentale,e tornano i pensieri personali(“Dicono che ci realizzeremo/ed io ritornerò”),ma soprattutto i ricordi,essendo la data del titolo l’anno di nascita dello stesso cantautore(“Nacqui come tanti in una stanza/cresciuto alle prodezze a questa età scopro l’imbarazzo/nei miei eroi/e i capricci a cui son rimasto fedele”).

“Canto campano”è ancora più introspettiva,essendo una ballad scura(l’atmosfera”notturna”la fa ancora di più da padrona,complice l’ottimo e avvolgente pianoforte);e non è difficile immedesimarsi nelle parole dell’autore che canta l’attualità e le sue mille problematiche in una maniera assolutamente nuova e mai sentita prima(“penso a chi ha intontito le sue ansie/le illusioni e i lamenti/penso a chi sfibbiato le sue scarpe/inchiodandosi al terreno/tra noi semi di contropotere/sotto il peso di uno stato che interviene con deroghe ed eccezioni”).

Bella anche la coda finale che ripete il ritornello con in sottofondo il tappeto strumentale sempre più suggestivo(e la chitarra si sposa perfettamente col piano),in un crescendo di emozioni.

Originalissima l’andatura chiaroscura di”Ettari di Eternit”,un brano che sicuramente dal vivo farà faville(non so perchè,ma ho la sensazione che si presti molto alla ripresa in concerto)….

Questa traccia svela un’anima quasi”progressive”,con sottili rimandi seventies rimiscelati però alla maniera di Capozzi(ovvero assolutamente”personale”),e dimostra ancora una volta le capacità esecutive dell’autore(e non solo quelle compositive)….

Le liriche sono più dirette,anche se non meno evocative(“Pioveva e il cielo solcava il terreno/con gocce in picchiata sui fili d’erba”):come sempre le parole si sposano perfettamente alla visionaria musica.

I ricordi personali di una vita vissuta riaffiorano su”Gli orologi”,una ballata acustica,affidata solo a chitarra e voce,intimista e abbastanza oscura musicalmente(“erigevo mura di cartone/e viaggiavo sulle ruote/poi scoprendo come far l’amore/non fu più il tempo di giocare”):una riflessione che parte dall’infanzia per arrivare alla post-adolescenza,e infine all’età adultà(e il brano simboleggia proprio questo”passaggio”,nella

sua malinconia…..oppure potrebbe essere anche una sorta di”osservazione”,da padre a figlio-specie nel passo finale-in quanto il brano,come gli altri del disco,secondo me ha più chiavi di lettura).

Ritorna un mood più elaborato e più complesso come struttura su”Il testimone”:stavolta in ballo sono i rapporti personali,e si scava ancora di più nel profondo(“e lui che ascolta/è l’ultima volta/si sente finire/involvono gli arti/riducono gli atti/come a svenire”),anche a costo di fare male interiormente.

COVER_CAPOZZI

E la melodia è agrodolce,in contrasto con le liriche che affibbiano dei colpi e lasciano sanguinare…..e fa capolino perfino un sassofono,che amplifica la malinconia,e allo stesso tempo lascia intravedere qualche spiraglio di luce(così come in fondo è la canzone stessa,amara ma non negativa,assolutamente:difatti il testo indaga anche su come la musica-o una qualsiasi altra forma di arte,di”scrittura”in questo caso-possa essere”salvifica”,una terapia contro il dolore).

Con la title-track si torna ad atmosfere più dirette e”rock”(moderno)in senso stretto,tra ritmiche moderne e risvolti alternativi:l’attualità viene ancora una volta”scoperchiata”e narrata in maniera personale,differente da come viene trattata altrove(“offrici un giorno in più/ferma i tramonti lassù/in tombe di debito/poi Cristo avanzi tra noi/senza copertura nazionale/e non c’è classe”)…

Il ricorso a immagini particolari è come sempre molto riuscito….e la seconda parte è cantata in inglese,con un finale affidato ad un breve accenno di distorsioni noise.

“Il mattino ha l’oro in bocca”è un’altra ballata a tinte noir,eppure si cambia ancora una volta atmosfera:il mood è rarefatto e color pece(“cosa volevi senza il tono di un accento?/ora fino a sempre forgerò/militando al suono”),e anche l’introspezione si fa più acre…nella seconda parte,quando entra un drumming preciso e “minimale”il pezzo s’illumina lievemente,senza rinunciare all’atmosfera quasi lynchiana…..un pezzo che potrebbe perfino piacere a Nick Cave per la sua particolare composizione e atmosfera.

La penultima traccia,”Solstizio d’inverno”,è probabilmente il mio pezzo preferito del disco;le parole spiegano già molto da sè(“la compagine umorale apre da lidi percettivi/di tensioni emozionali/prognosi difettive”),personali e che indagano sulla sfera personale.

Musicalmente è un trip sonoro moderno;una sorta di visione “psichedelica”vista alla maniera di Capozzo,ovvero in maniera solo”sua”,come al sempre molto intrigante:da segnalare l’eccellente coda strumentale,in cui le chitarre si sposano in maniera perfetta all’elettronica(che non risulta mai invasiva).

Il finale del disco coniuga cantautorato moderno(e quindi”rock”)ad una lieve base quasi trip hop(elettronica soffusa,con le voci”raddoppiate”);”Scaldare il freddo”è una sintesi di quelle sensazioni che si provano in solitudine al mattino,quando la casa si”risveglia”(“chiusi gli arnesi/riposti gli arnesi nella credenza/tu sei ancora nel letto/dietro il corridoio…e le pareti”).

Tra chitarre rilassate,distese e battiti lievi, il disco finisce con la promessa di farsi ascoltare di nuovo e presto!

Marcello Capozzi: segnatevi assolutamente questo nome.

Un giorno non troppo lontano ne sentiremo parlare in grossi termini,anzi son più che sicuro che potrebbe anche sorpassare in fama tanti altri songwriters nostrani,data l’impronta assolutamente originale del suo lavoro.

E adesso correte a recuperare questo disco….io,invece,me lo riascolto già a palla nel mio stereo di casa…..

PS:una citazione doverosa va fatta anche agli altri musicisti del disco;oltre allo stesso Capozzi che suona chitarra,piano,basso,tastiere(oltre a occuparsi della parte”elettronica”ovvero loops,programming ecc.),partecipano Francesco Lo Presti(alla seconda voce in alcuni brani,all’elettronica in altri),Paolo Messere(al basso in alcuni brani,al synth e alle programmazioni in altri),Rino Marchese(basso in alcune parti del disco),Tommaso Miranda(sassofono su”Il testimone”)e Ivano Augugliaro(batteria su quasi tutto il cd).

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